Onorevoli Colleghi! - Nel nostro Paese esiste un atavico e ostinato bracconaggio, soprattutto ai danni dell'avifauna migratoria, sempre più spesso vittima di vere e proprie stragi. Sono tristemente noti lo sterminio dei falchi pecchiaioli sullo stretto di Messina e l'altrettanto incivile strage estiva di volatili sulle coste delle isole campane.
      I bracconieri ormai si avvalgono delle più sofisticate tecniche per abbattere uccelli protetti, a volte sulla soglia dell'estinzione.
      L'apparato di vigilanza predisposto dalle amministrazioni provinciali è particolarmente carente e ridotto nell'organico.
      La legislazione vigente in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e di prelievo venatorio non contiene norme idonee a combattere il bracconaggio nei casi in cui tale incivile pratica è esercitata con mezzi particolarmente efficaci e sofisticati come, ad esempio, i richiami elettromagnetici riproducenti i versi dei selvatici. Queste apparecchiature, com'è noto, consentono di attirare facilmente i volatili per abbatterli. Tali richiami, grazie alle loro ridottissime dimensioni, possono essere facilmente occultati nei campi e spesso sono dotati di sofisticatissimi telecomandi a distanza mediante i quali sono prontamente disattivati alla vista degli agenti di vigilanza. Esistono addirittura richiami elettromagnetici muniti di diffusore ad ultrasuoni, non rilevabili acusticamente e quindi non individuabili da parte degli agenti di vigilanza.
      I bracconieri, inoltre, si avvalgono sempre più spesso di radio ricetrasmittenti, sia per avvisarsi reciprocamente della presenza degli agenti di vigilanza ed eludere i controlli, sia per predisporsi in battuta e ricercare più efficientemente le prede da abbattere. Di questa tecnica di bracconaggio si è interessata anche la Corte suprema di cassazione (III sezione penale, sentenza

 

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23 luglio 1994, n. 8322, ricorrente Scilironi), che ha affermato l'illiceità penale dell'uso venatorio di tali apparecchiature.
      La diffusione delle descritte pratiche di «bracconaggio tecnologico» è purtroppo alimentata dagli operatori economici interessati alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti impiegati per la caccia illegale e dagli operatori pubblicitari della stampa diretta ai cacciatori. Essi non esitano a pubblicizzare sulla stampa venatoria i più moderni congegni elettronici studiati appositamente per le esigenze del bracconaggio. Così, sulle riviste dirette ai cacciatori, accanto alle pubblicità degli allevamenti di cani, delle armi da caccia, delle munizioni e dell'abbigliamento, compaiono sempre più frequentemente inserzioni pubblicitarie di mezzi di caccia non consentiti.
      L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, su denuncia di alcuni consumatori, già nella seconda metà degli anni novanta aveva avviato alcuni procedimenti ai sensi dell'allora vigente decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74, e aveva accertato due casi di pubblicità ingannevole di mezzi di caccia illeciti, vietando l'ulteriore diffusione dei messaggi pubblicitari. La prima decisione (procedimento n. PI/1305 del 18 giugno 1997) era relativa alla pubblicità di richiami elettromagnetici per l'avifauna; la seconda decisione (procedimento n. PI/1296 del 3 luglio 1997) riguardava una inserzione pubblicitaria di radio ricetrasmittenti. In entrambi i casi l'Autorità, acquisito il parere conforme dell'allora Garante per la radiodiffusione e l'editoria, aveva accertato che un periodico rivolto esclusivamente ai cacciatori veniva utilizzato per diffondere messaggi pubblicitari di mezzi di caccia illeciti, inducendo in errore i consumatori circa le lecite modalità di utilizzazione dei prodotti reclamizzati, con conseguente alterazione delle loro scelte economiche e con lesione delle imprese concorrenti che si attengono a forme corrette di pubblicità.
      Il «bracconaggio tecnologico» non può essere efficacemente combattuto sul campo, in quanto, come si è visto, la sua repressione pone insormontabili difficoltà pratiche.
      Né si può pensare di ottenere risultati soddisfacenti mediante la sola azione repressiva penale basata sull'articolo 30, comma 1, lettera h), della legge 11 febbraio 1992, n. 157, essendo l'organico degli organi di vigilanza assolutamente insufficiente.
      Per combattere tale forma di bracconaggio è necessario intervenire a monte, con gli strumenti preventivi individuati nella presente proposta di legge.
      Occorre in primo luogo vietare la detenzione durante l'esercizio venatorio dei mezzi di caccia non espressamente consentiti (articolo 1, comma 1).
      In secondo luogo, è opportuno, al fine di evitare il contatto con tali mezzi di caccia illeciti di coloro che esercitano forme lecite di caccia, vietare alle armerie di porre in commercio, accanto a quelli consentiti, anche i mezzi di caccia vietati (articolo 1, comma 2). È inoltre necessario vietare la pubblicità dei mezzi di caccia illeciti sulle riviste dirette ai cacciatori (articolo 2) e assicurare l'effettività dei divieti con sanzioni penali (articolo 3), affidando la vigilanza agli organi attualmente previsti per la vigilanza venatoria (articolo 4).
      Infine, è assolutamente necessario ritoccare la disciplina della pubblicità ingannevole in riferimento alla reclamizzazione dei mezzi di caccia non consentiti (articolo 5), riconoscendo anche alle associazioni venatorie e protezionistiche la legittimazione ad adire l'Autorità garante della concorrenza e del mercato oggi riservata esclusivamente ai singoli consumatori e alle imprese concorrenti.
 

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